Gratitudine, riconoscenza e amore alla Chiesa. Intervista a S.E. Mons. Giuseppe Russo

Scritto il 08/04/2024
da Sara Scatena

Sono passati  almeno tre mesi dall’ordinazione episcopale di mons. Giuseppe Russo e oggi, 8 aprile solennità liturgica dell'Annunciazione, presiederà la Santa Messa a San Giovanni Rotondo per ringraziare Padre Pio a nome suo, a  nome del Padre don Pierino Galeone e a nome di tutta la nostra Famiglia per il dono del suo episcopato. 

La Santa Messa sarà trasmessa alle ore 18.00 in diretta su Tele Radio Padre Pio: UHF 42 e LCN 75

Cogliendo questa bella occasione pubblichiamo la prima parte della sua intervista.

Sara: Innanzitutto, come stai?
Mons. Russo: Bene. Sono contento, sono sereno. Mi confronto già con tante cose, cominciano a crescere le richieste di udienza, di incontri, di celebrazioni. Tutti vogliono il vescovo, da tutte le parti!
Sara: Ottimo, partiamo: ci incuriosisce la tua prima reazione alla nomina. Cosa ti è venuto in mente, cosa hai pensato?
Mons. Russo: Quando parliamo di prima reazione io mi riferisco proprio alla telefonata da parte della nunziatura in cui venivo convocato, perché quando un nunzio chiede di incontrare un sacerdote normalmente si tratta di questo. Dunque, la mia prima esperienza interiore è stata di gioia, di emozione e forse anche un po’ di paura si può dire. Sono andato dal nunzio, in un certo senso era già cosa fatta, c’era la curiosità di sapere, di capire a quale diocesi il Santo Padre mi inviasse. E devo dire che quando mi ha comunicato la diocesi sono stato ulteriormente felice: una diocesi della Puglia, una bella diocesi, vicina alla mia di provenienza.
Sara: E la prima cosa che hai fatto dopo che l’hai saputo?
Mons. Russo: Mi sono fatto un segno di croce! No, la prima cosa che ho fatto è stata quella di telefonare ai miei fratelli, perché volevo esprimessero il loro parere, tenendo conto dell’assistenza a mio padre. Fino a quel momento l’avevo prevalentemente gestita io, ma era ed è chiaro che da quel momento le cose potevano cambiare e quindi ho chiesto loro un parere. Devo dire che sono stati entrambi immediatamente convinti, determinati nel dirmi: «Non ci pensare nemmeno a rinunciare», perché questa era l’opzione possibile. Poi dopo ho telefonato a don Giuseppe Carrieri che stava andando forse a San Giorgio – non mi ricordo – e gli ho detto: «Forse è meglio che ritorni, che ti devo dire una cosa» e abbiamo condiviso questa notizia.
Sara: Poi sappiamo più o meno di tutti i preparativi, di tante persone impegnate ad aiutarti e finalmente abbiamo visto il tuo stemma, il motto e la spiegazione molto bella. Ma volevamo sapere: come ti è venuta l’idea, come è nata l’ideazione di tutto?
Mons. Russo: Allora, devo essere molto sincero. È stata un po’ come un’illuminazione di un istante. Eravamo di ritorno da Roma, c’era don Carmine con me. Io ero andato in nunziatura, lui mi aspettava fuori quindi è stato il primo a sapere quale fosse la diocesi, poi siamo andati a Napoli perché lui doveva fermarsi là. Abbiamo pranzato a casa delle sorelle della comunità di Napoli e lì, poco prima del pranzo ero seduto nel salottino in riflessione - ma niente di impegnativo- mi è venuta alla mente con forza l’immagine del Buon Pastore e le parole di Gesù a Pietro,
immediato, forte. Quindi non ho avuto dubbi. Tanto che ho detto a don Carmine: «In latino come lo tradurresti?» e quindi da lì è partito tutto. Questa è stata l’idea del motto. Poi la formazione dello stemma è stata un po’ più articolata perché come avete visto è composito, lì raccogli un po’ tutto quello che può rappresentare al meglio la tua spiritualità, la tua esperienza, i tuoi legami e anche in qualche modo la prospettiva.
Sara: Ora passiamo a qualcosa che ti e ci riguarda un po’ più da vicino. Quanto pensi che abbia inciso
l’appartenenza a un Istituto secolare sulla tua vita personale e quanto pensi possa incidere sul tuo ministero episcopale?
Mons. Russo: praticamente l’inizio di un mio cammino di fede serio e radicale ha coinciso con l’appartenenza all’Istituto (avevo 16 anni). Questi lunghi anni intensi di appartenenza hanno plasmato, forgiato la mia personalità in termini spirituali e anche in termini pastorali il mio sacerdozio. Per il ministero episcopale io credo che, per un sacerdote che comincia ad esercitarlo, incida un po’ tutto il suo trascorso. È chiaro, uno arriva ad essere vescovo con una certa maturità, alcuni sono più giovani, altri più grandicelli ma anche i più giovani arrivano ad essere ordinati vescovi avendo alle spalle una lunga esperienza umana, spirituale, pastorale e quindi anche
l’appartenenza all’Istituto: la formazione, la sensibilità, l’approccio, l’impostazione ma proprio le esperienze concrete, gli incontri, l’ascolto, le responsabilità assunte lungo il corso degli anni... Tutto questo ha incidenza insieme a tutto il resto. Il seminario mi ha dato il suo contributo, gli anni di sacerdozio un suo contributo, l’esperienza in Curia un suo contributo, l’esperienza in CEI un suo contributo... quindi ogni esperienza di vita concorre nel comporre quella che alla fine è la personalità con cui tu avvii il tuo ministero episcopale. Quindi anche l’Istituto incide e inciderà non poco.
Sara: Con questa risposta hai anticipato questa domanda, cioè: hai avuto appunto delle importanti esperienze, in particolare in CEI, all’APSA e infine anche come parroco. C’è una caratteristica che ti porti dietro da ognuna di queste esperienze e che ti sarà utile nel tuo ministero?
Mons. Russo: Se devo dirne proprio una, dovrei dire certamente la gratitudine, la riconoscenza, l’amore alla Chiesa. E questa è una cosa che è cresciuta nel tempo, in un modo anche sorprendente. La consapevolezza che veramente la Chiesa è sacramento di Cristo e che nella Chiesa opera lo Spirito Santo, che Cristo opera a sua volta nello Spirito attraverso la Chiesa. Ho percepito proprio questo, l’ho vissuto, l’ho creduto e lo credo tanto. Anche l’ultimo anno passato da parroco (che non è stato semplicissimo ma impegnativo) l’ho vissuto consegnandomi alla Chiesa, accogliendo dalla Chiesa tutto ciò che mi avrebbe donato e chiesto. E poi, quando da quel 28 novembre
(data in cui ho ricevuto la chiamata del nunzio e dal 1 dicembre quando l’ho incontrato, poi dalla pubblicazione della nomina del 7 dicembre) fino ad oggi, sento veramente molto forte questo amore alla Chiesa e quanto sia un riferimento importante per tutti noi, per i sacerdoti in particolare e per i vescovi ancora di più. Quando sono stato alla Conferenza Episcopale Italiana per la prima volta mi sono “quasi imbattuto” nella Chiesa tutta. Mi ricordo che mi sono trovato a partecipare all’Assemblea Generale dei Vescovi e fu un’emozione troppo forte, da contenere. Mi sentivo veramente piccolo. Tutti i vescovi italiani lì presenti e io lì in mezzo a loro ad ascoltare, a partecipare ai dibattiti, alle riflessioni alle scelte, a confrontarmi con loro. Questa è stata un’esperienza
meravigliosa. In Vaticano l’esperienza è stata un po’ diversa dal punto di vista del lavoro. Semmai la cosa unica è stato il contatto con il Santo Padre.

 

Alla prossima settimana con la seconda parte.



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